
Tutto sul pellet
In questi due numeri sono riassunte le caratteristiche principali di un dato pellet, che dipendono da come è lavorato e dal tipo di legno da cui e ricavato. “Il migliore, spiega il tecnico Anfus, è il faggio puro, segue l’abete, che però come le altre piante resinose sporca un po’ di più la stufa; infine ci sono le latifoglie e il misto.” Esiste poi anche pellet fatto con biomasse varie: ad esempio segatura di legno mischiata a scarti di mais. I tecnici sentiti non lo bocciano, ma lo consigliano solo per grandi caldaie e non per le stufe: ha un residuo di cenere relativamente alto che sporca braciere e canna fumaria.
Attenzione però: valori buoni di potere calorifico o di residuo indicati sull’etichetta non sono una garanzia assoluta di qualità. L’unico modo per essere certi del pellet che si compra è quello di scegliere prodotti che si sottopongono a certificazioni volontarie riconosciute. “A livello italiano c’è l’attestazione Pellet Gold – ci spiega Marino Berton, presidente dell’Associazione italiana energia dal legno (Aiel) e coordinatore di Assopellet – i produttori che vogliono questo marchio accettano che il loro pellet sia sottoposto a controlli casuali, periodici e a sorpresa, in un laboratorio certificato Sincert.”
Le analisi verificano la composizione chimica, escludendo ad esempio la presenza di vernici e formaldeide, che potrebbe essere presente qualora il pellet fosse (illegalmente) derivato da scarti di legno già lavorato, misurano il potere calorifico, il residuo di ceneri, controllano caratteristiche fisiche come la durevolezza, ossia il fatto che non si sbricioli ed effettuano altri test, come quello sulla radioattività, introdotto dopo che nel 2009 in Val D’Aosta era stata rinvenuta una partita di pellet con valori di radioattività anomala.